La nemesi democratica





Prendete uno arrivato a fare il capo del governo e deciso a rimanerci, a quanto diceva, per una decina d’anni (ma, conoscendolo, probabile che pensasse di rimanerci a vita), tanto che, lui che andava sempre in bicicletta, ordina un aereo da terza potenza mondiale.Succede invece che si trova suo malgrado costretto a cedere il posto. Sicuro di potersi riprendere quel che ormai pensa gli appartenga di diritto nel giro di qualche mese, cerca, in qualità di segretario del partito di maggioranza, qualcuno che possa tenergli temporaneamente occupato il posto, senza che però si metta in testa di rimanerci.La scelta cade su un suo ex ministro che per carattere e atteggiamenti è la sua negazione. Tanto lui è spaccone, arrogante, chiacchierone, rancoroso e sparaballe, tanto l’altro appare misurato, dimesso, taciturno, conciliante e pesa col bilancino ogni parola pronunciata.Sceglie il suo esatto contrario pensando evidentemente che il proprio modo di essere sia il massimo e che quindi il nuovo arrivato l’avrebbe fatto rimpiangere. Dimostra in questo modo di non aver capito che se quasi 20 milioni di persone si sono presi la briga di andare a barrare il no al referendum del 4 dicembre, pur non sapendo, in buona parte dei casi, granché di riforme costituzionali, lo hanno fatto proprio in ragione della sua arroganza e della sua spacconaggine.Così, il secondo, che alle primarie di Roma si era fermato a un risibile 5%, votato solo da parenti e pochi intimi, diventa meno di un anno dopo il leader politico più popolare non solo tra gli italiani, ma anche tra gli elettori dello stesso PD

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Pubblicato il: 21 Gennaio 2018

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